RailRoad corre lungo i binari del tempo senza stridere. Si parte dal 1892, prossima fermata: il futuro.
Un cammino lungo generazioni, l’energia è il movimento. Il mezzo di trasporto fa di qualunque polso, il più bel polso.
Messa giù così, il personalissimo percorso alla scoperta di Hamilton RailRoad 2010 diventa un viaggio privo di limitazioni. La svolta è lì: bracciale, quadrante, disco. Pensi già a domani, arriva ieri. Mi confonde, mi affascina. Poi, le sensazioni iniziano a travolgermi. Sei vicino a ieri, s’intrufola l’indomani. Il segnatempo, i millesimi, parecchio vapore, odori di vintage e caucciù, il freddo dell’acciaio. Il freddo di un autunno che a Milano pare già inoltrato. Il legno di una locomotiva che fischia collima d’improvviso con la gomma che riveste quattro ruote motrici. E, d’improvviso, è sempre mercoledì. Quello di più di un secolo dopo. L’occhio prova a fissare il tempo leggendone i dettagli ma lo sguardo ha imparato a prevaricare sulla vista. Hamilton prima trascende poi include. E, rendendo unico ciascun istante, abbraccia metaforicamente la Storia grande con la delicatezza con cui ti abbraccia il polso. Pare facile, a volte, descrivere un orologio.
La tradizione.
A chi si muove con cadenza quotidiana, per lavoro e quant’altro, nei meandri del centro di Milano verrebbe facile raccontarla così: dalle 17 alle 19. Quando non c’è un posto neppure a pagamento. Non c’è anticipo sugli appuntamenti nemmeno se sei alla guida di un bolide da centinaia di cavalli. Respirare (oltre allo smog) l’intreccio di un “passato-presente” in una metropoli simile a cento altre sparigliate per il pianeta e quasi non sopportarla.
La tradizione.
Quei venti minuti di ritardo che cerco di colmare con una corsa a pieni polmoni (dopo il miracolo d’aver trovato un buco) sono un biglietto da visita infimo. Lo riconosco. Punto tuttavia sul fatto che Hamilton – chi se non Hamilton – il tempo sappia non solo scandirlo e dominarlo. Non sbagliavo: sa anche gestirlo. Pleonastico, quindi, svelare che i primi a essere in loco (tra gli anfratti di via Savona, intorno a palazzi che, la tradizione, sembrano impersonificarla) sono proprio i referenti di Hamilton. Ultimi, bloggers e giornalisti (il mio ritardo? Ho una attenuante: la mattina stessa, esco di casa senza l’orologio!).
In collaborazione con Connexia (ottimo connubio sotto ogni punto di vista), la casa statunitense svela in anteprima mondiale (c’è stata Basilea, vero. Mi si conceda il patriottismo) un paio di nuovi modelli. Alle 19 ho già poca scelta: tre secondi per guardarmi intorno, ne passano due e improvviso mentalmente un paio di attacchi per il pezzo. Poi, non fai in tempo a dire “meno uno” che vieni preso per mano e proiettato nell’incantevole universo di Hamilton.
E lì, tra i cunicoli di dimensioni spazio – temporali esclusive, scopri che la tradizione ha le fattezze del prossimo futuro. Nonostante l’accostamento datato 1898 tra il primo modello Hamilton Rail Road e la locomotiva. Era l’orologio di precisione ferroviaria. Il primo a fare epoca. Il primo a sdoganare la percezione statica del tempo. Il primo a vanificare le implicite limitazioni dello spazio. Dal taschino al polso, senza farsi canuto. Senza ingiallire. Senza impolverirsi. Semmai, riuscendo a fare cronaca, tendenza, notizia. Non si invecchia mai se il riferimento è la perfezione.
Cos’è tradizione, si diceva.
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